L’arte di amare, libro che costò a Ovidio l’esilio a Tomi nell’8 d.C., può essere definito un manuale di tecniche amorose ma anche un prontuario intelligente e ironico per risolvere i problemi del cuore, raccontato in prima persona da un protagonista senza remore nel descrivere anche i suoi fallimenti più vergognosi. Amare è come andare «per la prima volta soldato in una terra sconosciuta»: perché non affidarsi a chi è più navigato? L’opera di Ovidio, leggera, elegante e smaliziata, è estremamente moderna anche per il lettore di oggi.
Ovidio fu un poeta romano tra i maggiori elegiaci. Tutto quello che sappiamo sulla sua biografia sono testimonianze lasciate dal poeta stesso.
Nacque da una famiglia di rango equestre. A dodici anni si recò a Roma con il fratello per completare gli studi di grammatica e retorica dei più insigni maestri della capitale, in particolare Marco Aurelio Fusco e Marco Porcio Latrone.
In questi anni compì molti viaggi: ad Atene, com’era costume, in Asia Minore, Egitto e Sicilia.
Tornò a Roma dove intraprese la carriera pubblica come un funzionario, forse, di polizia giudiziaria. Contro la volontà di suo padre (che lo vorrebbe oratore) continuò a dedicarsi agli studi letterari frequentando il circolo di Messalla Corvino prima, e quello di Mecenate dopo. Qua conobbe i più importanti poeti del tempo: Orazio, Properzio e, per poco tempo, Virgilio.
Ebbe tre mogli: dopo due matrimoni sfortunati, sposò una giovane fanciulla della gens Fabia, di cui rimane testimonianza nei suoi testi.
All’età di venticinque anni realizzò una delle sue opere più note al pubblico, L’Ars amatoria in cui il poeta dava consigli agli uomini in merito alle tecniche da adottare per conquistare una donna.
In età matura scrisse il suo testo più conosciuto, Le Metamorfosi.
Nell’8 d. C. fu costretto a lasciare Roma e a prendere la via dell’esilio, poiché non rispettò le regole emanate da Augusto in occasione dell’elaborazione del testo L’Ars amatoria, il quale spingeva le donne dell’epoca a commettere adulterio.
Passò così il suo esilio a Tomi, città situata nell’attuale Romania, nella quale visse gli ultimi anni della sua vita senza mai riuscire a tornare a Roma.