Frutto di una tormentata riflessione che ha occupato interamente gli ultimi anni di vita di Pascal, i Pensieri sono anzitutto l’espressione dello smarrimento di un’anima geniale. Mosso dalla smania quasi febbrile di scrivere una monumentale Apologia del Cristianesimo, il filosofo francese rivela in quest’opera la sua verità di uomo ancor prima di vestire i panni del pensatore.
Come scrive il curatore Bruno Nacci nell’Introduzione, «sbaglia chi legge queste pagine con la volontà di ritrovarvi un pensiero unico, una indefettibile e monotona litania di luoghi “pascaliani”. Quest’opera sconcertante è viva solo perché in essa Pascal è sceso intero, senza alcuna preoccupazione di lasciare un’immagine pacificata di se stesso». Non è un caso che la sua immersione tra i dubbi della mente, la sua ricerca teologica di un’obiettività di fede contro ogni facile razionalismo, il suo voltare e rivoltare gli argomenti, siano caratterizzati dall’alternanza tra un’ironia arguta e una drammatica solennità: la scrittura di Pascal è figlia della sua incontenibile personalità, e ce lo fa scoprire fratello di chiunque affronti la crisi del proprio mondo interiore e della propria contemporaneità.
(1623-1662) Filosofo e scienziato, fin da giovanissimo si dedicò, instradato dal padre Étienne, a questioni matematiche e fisiche, occupandosi del problema del vuoto in un’ottica innovativa rispetto alla fisica tradizionale. Profondamente influenzato dalla spiritualità giansenista, conobbe una vera e propria conversione religiosa la notte del 23 novembre 1654. Celebrò la fede ritrovata nella religione cristiana trasferendosi a vivere nel convento di Port-Royal. Negli anni della maturità tutti i suoi interessi si rivolsero alla stesura di un grande trattato, mai compiuto, che si sarebbe dovuto intitolare Apologia del Cristianesimo. Di questo ambizioso progetto a noi restano gli sparsi frammenti, tramandati dalla tradizione sotto il titolo di Pensieri.