Proposte di legge per contrastare le discriminazioni, discussioni parlamentari sui sostantivi femminili, regolamenti aziendali che sanzionano comportamenti inappropriati, circolari scolastiche su tematiche di genere, partite sospese per cori razzisti. Da tempo i temi distinti ma incrociati di politicamente corretto e cancel culture sono all’ordine del giorno, investendo la sfera privata e quella pubblica, i litigi in famiglia o tra amici e le prese di posizione su giornali cartacei, programmi televisivi, podcast, blog, riviste online e social network.
Sono temi che spopolano proprio sui social, dove macinano commenti e polemiche, creando una frattura in un certo senso politicamente inedita: nella contrapposizione tra chi nega l’esistenza della cancel culture e chi si lamenta che “non si può più dire niente” non viene per forza ricalcato il dualismo classico tra sinistra e destra, o tra progressisti e conservatori. Vediamo infatti che il licenziamento di un attore o il macero di un libro innescano discussioni infuocate anche tra persone che su molti altri temi (economici, politici, sociali) sono perfettamente d’accordo. Che cosa sta succedendo?
Mentre i media cavalcano il dibattito rilanciando pseudonotizie acchiappaclick su censure a Omero o Biancaneve, la contrapposizione tra i fronti si consuma per lo più in litigate pubbliche sui social o singoli interventi lanciati online o offline come una voce nel deserto, attorno a cui si rinserrano i ranghi della rispettiva fazione. Ognuno finisce sempre così per parlare ai convertiti, senza che si costruisca un dibattito che sia anche un dialogo costruttivo.
Come antidoto alla polarizzazione, in questo libro si incontrano idealmente quattordici persone che non sono affatto d’accordo tra loro, ma sono disposte a sedersi a un tavolo di confronto. Ognuna ha scelto di inquadrare il tema secondo i suoi campi di interesse, le sue esperienze e professionalità: linguistica, televisione, comicità, filosofia, storia, sociologia, teatro, pedagogia, politica e quant’altro.
Così, nel cercare una risposta alla domanda Non si può più dire niente?, questi quattordici punti di vista aprono inevitabilmente ad altre domande e risposte, che restituiscono complessità al nostro intricato presente.
I contributi:
Matteo Bordone: Una cosa di due, tre giorni al massimo ovvero Anatomia di un merdone; Elisa Cuter: Qualcosa di sinistra. Una critica marxista alla wokeness; Federica D’Alessio: No debate. Sesso, genere e una discussione che non s’ha da fare; Giulio D’Antona: Louis, Dave e gli altri. La comicità e il suo pubblico; Federico Faloppa: Breve storia di una strumentalizzazione. Alle origini dell’espressione “politically correct”; Liv Ferracchiati: Eventi bizzarri in attesa di una Filosofia del futuro. Quel che so sul politicamente corretto; Vera Gheno: La lingua non deve essere un museo. La necessità di un linguaggio inclusivo; Jennifer Guerra: Inquadrare l’elefante. Il politicamente corretto come frame di destra; Christian Raimo: Un caso esemplare di discriminazione. Ripartire dall’educazione linguistica democratica; Daniele Rielli: Il re woke. Il politically correct come tribalismo morale; Cinzia Sciuto: Il vicolo cieco dell’identità. Identity politics e cancel culture; Neelam Srivastava: Cancellazione o palinsesto? L’eredità coloniale e gli spazi pubblici in Italia; Laura Tonini: Ci scusiamo con tutti i nostri telespettatori. Tv, cancel culture e politicamente corretto; Raffaele Alberto Ventura: Dieci tesi sul politicamente corretto. Nuovi codici e nuovi conflitti.