« Per queste donne l’antropologia non rappresentò solo un’opportunità professionale: fu una via di fuga. Il lavoro sul campo offrì loro un sollievo temporaneo dalle restrizioni della società inglese, o quantomeno fornì un nuovo contesto, un nuovo posto, una nuova cultura, nella quale rinegoziare la propria identità. Patirono l’isolamento e le difficoltà fisiche in culture molto diverse, ma trovarono la libertà lontane da casa.»
All’inizio del Novecento cinque donne accedono alla facoltà di Antropologia di Oxford con l’intenzione di fare ciò che normalmente era riservato agli uomini: viaggiare e fare ricerche sul campo per studiare le culture primitive.
Tra molte difficoltà e altrettanto scetticismo, tutte lasciano l’Inghilterra e partono verso l’ignoto: Katherine Routledge si sposta tra l’Africa orientale e l’Isola di Pasqua, per studiarne i popoli in rivolta; Winifred Blackman verso sperduti villaggi lungo il Nilo; Barbara Freire-Marreco si stabilisce tra i pueblos del New Mexico e dell’Arizona; Beatrice Blackwood nei territori inesplorati della Nuova Guinea e Maria Czaplicka si avventura nelle sterminate terre siberiane. A migliaia di chilometri da casa e tra le “selvagge tribù”, le studiose sperimentano libertà inaspettate, lontane dalle costrizioni del mondo occidentale, dove essere una donna, specialmente se benestante, significava accontentarsi di fare figli e custodire la casa, lasciando agli uomini gli onori del mondo. E infatti, conclusi i loro viaggi di studio, a Londra le attende un destino tragico: due di loro vengono bollate come pazze e rinchiuse, una muore suicida a trentasei anni e le altre devono comunque lottare il doppio degli uomini – che le ostacolano o cercano di prendersi i meriti del loro lavoro – per vedere riconosciuta solo la metà del loro valore.
Proprio mentre le prime battaglie femministe cominciavano a scardinare equilibri di potere fino ad allora intoccabili, cinque donne coraggiose riuscivano con la sola forza del loro lavoro a sfidare una società e una cultura profondamente conservatrici, contribuendo allo stesso tempo alla nascita dell’antropologia. Frances Larson, anche lei antropologa, ne ricostruisce le vite fuori dall’ordinario, elevando le loro storie a simbolo di un movimento – fatto di libertà e rivendicazioni – che dall’inizio del secolo arriva fino a oggi.
La piccola storia di cinque donne si fa così paradigma ed emblema: se gli antropologi nei loro viaggi rimangono a tutti gli effetti degli intrusi tra gli indigeni, queste donne, intruse nella società borghese che le voleva solo mogli e madri, trovarono dall’altra parte del globo una terra nuova in cui essere libere.
Traduzione di Claudia Durastanti