«La napolitudine ormai è diventata troppo scontata, si è prostituita. Sono stati sfruttati proprio i canoni napoletani per fare soldi.» Così si sfogava già quarant’anni fa Pino Daniele in un’intervista in cui spiegava il suo difficile rapporto con il capoluogo campano. In un suo studio, Benedetto Croce, napoletano d’adozione, aveva invece definito la città, approfondendo una convinzione medioevale, «un Paradiso abitato da diavoli».
Anni prima, durante il suo grand tour, un Goethe estasiato appuntava nei suoi diari: «vedi Napoli e poi muori», mentre due secoli dopo Lucio Dalla dichiarava alla città tutto il suo amore: «Napoli è il mistero della vita, bene e male si confondono».
Metropoli che trasuda energia vitale e creatività artistica, scenario ricorrente per la cronaca nera, Napoli è forse la città che più al mondo riesce a spaccare in due i giudizi sul suo conto: amore assoluto o odio incondizionato. Ma qual è l’anima profonda di questa città, caotica e sempre più affollata di turisti, oggetto misterioso e bersaglio di tanti pregiudizi? Napoli non è solo antichi palazzi e bellezze naturali, leggende e abitudini popolari, a formare la “napoletanità” contribuiscono la sua storia millenaria, il susseguirsi di speranze tradite e sogni irrealizzati, i suoi riferimenti culturali, i suoi artisti, scrittori, attori, musicisti.
Partendo dal lungo dominio Borbone per arrivare fino a oggi, Gigi Di Fiore, storico e giornalista partenopeo, scava nel ventre della Napoli cafona e sguaiata, vittima di se stessa e di giudizi preconfezionati, seguendo racconti personali e testimonianze di napoletani illustri e non, compie un viaggio appassionato alla ricerca di una napoletanità orgogliosa della sua storia e della sua cultura: un atto d’amore privato e collettivo.