Non appena il mare, dalla cima del monte Teche, apparve ai soldati greci in avanscoperta, esplosero grida di giubilo: «Thalassa! Thalassa!». Per loro, il mare di Trapezunte rappresentava la salvezza agognata, il luogo da cui ripartire per giungere finalmente in patria; in quella patria che sul finire del V secolo a.C. avevano abbandonato, in oltre diecimila, al soldo di Ciro, giovane principe orientale desideroso di spodestare il fratello Artaserse dal trono di Persia.
Lo storico greco Senofonte, anche lui tra quei mercenari, ci offre con la sua opera il racconto appassionante di questa “anabasi”, ossia spedizione verso l’interno, che presto diviene ben più di un resoconto di viaggio, assumendo i tratti dell’“epos”: dopo la sconfitta delle truppe e la tragica morte di Ciro, Senofonte si trova a condurre i superstiti a casa, attraverso un lungo itinerario, una marcia di ritorno durata due anni, tra cammini impervi, fame, fatica, scontri con popoli ostili e condizioni climatiche avverse, che si fa dapprima “catabasi” (viaggio verso il mare) e quindi “parabasi” (viaggio lungo la costa). Trascendendo la mera ricostruzione storica, la vicenda dell’Anabasi, come poche dell’antichità, sa racchiudere vari generi, dal romanzo d’avventura al trattato di tecnica militare, dall’autobiografia al diario di guerra e di viaggio, ma anche, come individuato acutamente da Italo Calvino, dal picaresco all’eroicomico. Un’opera avvincente le cui tracce sono visibili, tra gli altri, nelle opere di William Defoe, Mary Shelley, James Joyce e Mario Rigoni Stern o nel film cult i Guerrieri della notte di Walter Hill.