John Maynard Keynes prestava una particolare attenzione alle mani dei suoi interlocutori: nei tic nervosi e nel gesticolare più o meno sorvegliato scovava vulnerabilità e ambizioni, indizi sui loro comportamenti durante i negoziati e sulle future decisioni politico-economiche. In quelle di Woodrow Wilson, che «tradivano una mancanza di sensibilità», presagì forse le catastrofiche
conseguenze economiche dei suoi “quattordici punti” presentati a Versailles nel 1919, forieri di un vento di vendetta sulla Germania che si sarebbe presto ritorto contro l’Europa e il mondo intero; e la diffidenza verso Franklin D. Roosevelt, dalle mani «molto forti, ma del tutto prive di intelligenza o finezza», gli avrà fornito magari l’impulso per lavorare a un trattato che sorreggesse e instradasse la politica del New Deal: avrebbe visto la luce nel 1936 e sarebbe diventata rapidamente la sua opera più celebre e celebrata, la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta.
Basta questo dettaglio a restituire l’immagine di un economista insolito, che poco assomiglia alla vulgata delle sue teorie. Perché se il keynesismo si è velocemente imposto come un’idea di economia utile a correggere, con oculate dosi di statalismo, il laissez-faire liberista, creando così un’alternativa capitalista “di sinistra” al marxismo, la vita personale e la carriera di Keynes non sembrano in nulla ricordare questa oculatezza e questo quieto pragmatismo: dandy omosessuale prima e poi marito di una delle ballerine più corteggiate al mondo, intellettuale del circolo di Bloomsbury prestato alla politica ma anche politico prestato al giro degli intellettuali, germanofilo atlantista, speculatore di Borsa che diffida dei mercati, esteta con un debole per l’austerità del contabile, grande borghese elitista che diventa l’idolo delle sinistre, uomo d’azione e da retrovia, bricoleur di talento e vero genio…
Nel tracciare questa agile e acuta biografia, Alain Minc si lascia sedurre dal carisma del cosiddetto “Einstein dell’economia”, mentre cerca di decodificare l’enigma e capire, tra tutte le sue molte vite, quale fosse quella vera. Forse alla fine una soluzione non c’è, e non resta che arrendersi al fascino dell’insoluto: Diavolo di un Keynes, ci ha ammaliato un’altra volta.