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03.09.2015

Le lettere di Eloisa e le sue #LezioniDAmore


Le lettere di Eloisa e le sue #LezioniDAmore

di Vittoria Baruffaldi (@filobabyP)

Quando lo zio di Eloisa inviò dei sicari a evirare Abelardo, lei comprese che non c’era più nulla da fare per quell’amore castrato.

Rinchiusa nel convento, piangeva ogni notte, davanti alla finestra aperta, desiderando che Abelardo leccasse quegli occhi acquosi e salati.

Fin dall’inizio della relazione con il suo maestro, la sedicenne Eloisa aveva intuito che non sarebbe stata una storia semplice: niente passeggiate mano nella mano lungo la Senna, nessun fine settimana in montagna a mangiare polenta e stufato di cinghiale, nessun vanto con le amiche per quella tresca col filosofo seduttore.

Si erano amati clandestinamente, tra un trattato di teologia e una discussione sugli universali, finché lei non era rimasta incinta. I fili logici di Abelardo si erano, allora, ingarbugliati e dalla sua bocca erano usciti mozziconi di frasi: Fatti suora, no, ti sposo, no mi faccio prete io.

Eloisa si oppose al matrimonio riparatore: l’amore non aveva per lei forma – la moglie – né misura:

E se l’appellativo di moglie sembra più santo e di maggior valore, a me è sempre apparso più dolce il nome di amica o, se non lo giudica sconveniente, di concubina o sgualdrina.

Il matrimonio si celebrò, in forma segreta, ma le notizie corsero veloci e Abelardo, pieno di timore per la propria carriera, spedì Eloisa in un’abbazia di monache. Lo zio di Eloisa, sentitosi ingannato, architettò la punizione esemplare nei confronti del filosofo. I due furono costretti a convertirsi alla vita religiosa a causa del disonore, l’uno, e a causa dell’amore, l’altra.

A Eloisa non rimaneva altro che aspettare le fasi dell’amore frantumato – il dolore, la rabbia, la rassegnazione -, come aveva letto su una rivista femminile. Eppure le pareva di non riuscire a togliersi di dosso il languore: era come un secondo velo che le ingabbiava l’anima.

È che lei non era come le altre ragazze.

Non serbava rancore verso Abelardo e le sue lezioni di logica arruffate tra le lenzuola; neppure gli rinfacciava il fatto di averla rinchiusa in quel convento che puzzava di minestrone.

Non cancellava il passato, non stracciava il suo ritratto appeso sopra il letto, non buttava via niente, neppure il suo spazzolino da denti spennacchiato.

Non aveva rimorso di nulla: E mentre dovrei piangere su ciò che ho commesso, sospiro piuttosto per ciò che ho perso (ah, quando lui le leggeva a letto le glosse all’Isagoge di Porfirio e lei annuiva diligente, poi iniziava a insinuarsi tra le righe e le note e lui scaraventava le glosse contro il muro).

Eloisa si aggrappava, invece, col corpo costretto nell’abito lugubre e l’anima perduta all’unica cosa che le rimaneva di se stessa: la passione, una borsa d’acqua calda appoggiata sul ventre.

Teneva aperta la sofferenza – la ferita della passione – per ricordarsi chi era. Dall’alba, quando recitava le preghiere e vedeva corpi viscidi e freddi e aggrovigliati come serpenti sulle pareti della cappella, fino alla notte quando inchiodava quei ricordi in lettere per Abelardo.

 

Una notte Eloisa chiuse la finestra, per paura che il cielo con tutte le stelle entrasse dentro la stanza e vedesse che i suoi occhi ormai erano asciutti.

 

 

Grazie a Vittoria Baruffaldi e a Giuditta Casale di Tempoxme Libri che ha ospitato una versione precedente di questo “esercizio” di meraviglia filosofica.

 

Vittoria Baruffaldi – Torinese, 37 anni, professoressa di filosofia e storia al liceo. Scrive su “La filosofia secondo babyP, esercizi di meraviglia per tutti e per nessuno”, il suo blog personale, nato come riflessione filosofica sulla maternità (per poi prendere mille strade diverse, alimentate dalla meraviglia dello sguardo sul mondo della piccola Baby P) e tiene una rubrica sul sito di Tempoxme Libri intitolata “La filosofia secondo me”. Ha pubblicato qualche racconto su riviste, tra cui “Inutile” e “Nazione Indiana”. Nel 2015 uscirà il suo primo libro.