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28.03.2015

Di teste, di colli e di pianure che si chiamano mondo


Di teste, di colli e di pianure che si chiamano mondo

Di Marco Ambra (@MarcoAmbra, @lavoroculturale)

«A chi danno da mangiare le conquiste spirituali?» Io credo che in questa domanda, apparentemente ingenua, attribuita a Jakob von Gunten da quel Kafka frivolo e ramingo che fu Robert Walser, continuino ad abitare i motivi della crisi di autorevolezza del design, dell’architettura e della funzione del nostro sistema d’istruzione. Le profonde trasformazioni che hanno interessato le società globalizzate nell’ultimo trentennio mettono in discussione, in maniera sempre più massiccia, la mediazione delle informazioni operata dalla scuola pubblica nell’epoca della società di massa. E per mediazione intendo qualcosa di ambiguo, di duplice: tanto la veicolazione delle informazioni costitutive di un ambito disciplinare, dagli insegnanti agli scolari, quanto la loro trasposizione in una forma espressiva “media”, standardizzata, accessibile.

Da qui, i due sensi della crisi della “mediazione” svolta dall’istruzione scolastica. Il primo senso di crisi è anche conseguenza delle scelte politiche di vessazione economica dell’istruzione pubblica. Penso alle statistiche sulla scuola italiana che registrano insegnanti retribuiti al di sotto della media europea, che hanno poche motivazioni a studiare, fare ricerca didattica e educativa, e conseguentemente tendono a offrire pochi stimoli ai loro studenti, che per di più operano in edifici fatiscenti. La logica di queste scelte verte tutta sulla cornice semantica del discorso neoliberale per cui la contrazione della spesa pubblica in settori come l’istruzione e la sanità è uno stato di cose naturale, un orizzonte di senso all’interno del quale è costretta la politica sull’istruzione dei diversi governi europei in nome di una presunta ripresa dello sviluppo economico.

Per quanto riguarda il secondo aspetto: parafrasando Peter Sloterdijk, potremmo dire che la crisi riguarda la rarefazione di quella complessa strategia di divulgazione dei saperi, nazionalizzazione delle masse e formazione delle classi dirigenti nata con l’Illuminismo e culminata nella definizione del design scolastico “classico” fra XIX e XX secolo. È la scuola paradossale descritta dallo stesso Jakob von Gunten, l’idea dell’insegnante, in cattedra, come detentore e divulgatore di un sistema dei saperi consolidato, un sistema che non può essere mediato agli studenti se non attraverso un lungo e faticoso apprendistato. Questo secondo senso della parola “mediazione” è oggi in crisi, dal mio punto di vista, a causa della “detronizzazione” dell’insegnate operata dalla Rete (e della definitiva detronizzazione di idealismo e neoidealismo dal vertice della cultura filosofica continentale: non esistono totalità sistematiche del sapere ma informazioni che fanno o non fanno un programma di ricerca all’interno di un paradigma). Come ha scritto Michel Serres nel pamphlet Non è un mondo per vecchi, a proposito della generazione della Rete: «Quando apparve la stampa, Montaigne preferì una testa “ben fatta” a un sapere accumulato, perché il cumulo, già oggettivato, giaceva nel libro, sui ripiani della libreria; prima di Gutenberg bisognava sapere a memoria Tucidide e Tacito se si praticava la storia, Aristotele e i meccanici greci se ci si interessava alla fisica, Demostene e Quintiliano si voleva eccellere nell’arte oratoria… dunque occorreva averne piena la testa. Economia: ricordarsi in quale scaffale è il volume costa meno, in termini di memoria, che ritenerne il contenuto. Nuova economia, ancor più radicale: nessuno ha più bisogno di ricordarsi il posto, se ne incarica il motore di ricerca. Ormai la testa decollata di Pollicina è diversa da quelle vecchie, più “ben fatte” che “piene”. Non dovendo più faticare per apprendere il sapere, perché è lì, davanti a lei, oggettivo, raccolto, collettivo, connesso, accessibile a piacere, ricontrollato dieci volte, lei può tornare a occuparsi del moncone di assenza che sovrasta il suo collo mozzato».

Considerata questa nuova relazione, nell’accesso e nella fruizione alle e delle informazioni che la Rete permette, bisognerebbe riflettere sul posizionamento dell’istituzione scolastica nella società. Isola resistente alle innovazioni? Luogo in cui preservare lo spazio e il tempo per coltivare lo sviluppo dello spirito critico? Tassello essenziale nella costruzione della democrazia? Anticamera del mondo del lavoro? Spazio di scoperta ed esercizio della propria autonomia? Bisognerebbe affrontare questo tipo di dibattito, smascherando e demistificando le posizioni ideologiche che si presentano invece come descrizioni di stati di cose. Decostruire e rispondere alle narrazioni tossiche sulla scuola. Faccio un esempio: l’idea che la scuola debba formare dei lavoratori specializzati si presenta sostenuta da argomentazioni ammantate di buon senso – mancano gli operai specializzati nel settore X, quindi la scuola del territorio deve formare gli operai del settore X – ma non considera la dinamica propria dell’apprendimento che non è fatta di applicazioni, prestazioni ed esecuzioni per imitazione di compiti gradualmente sempre più complessi. È fatta invece di tempi e spazi che la ratio produttiva contemporanea considererebbe “inutili”, perché non quantificabili e standardizzabili nei risultati.

Anche l’uso delle tecnologie digitali nella didattica dovrebbe affrontare questo tipo di dibattito critico, negoziare spazi e tempi scolastici rispetto alla presenza invasiva di dispositivi carichi di potenzialità non solo tecniche, ma anche economiche e commerciali. Perché faccio usare il tablet ai miei studenti? Dov’è la finalità educativa nell’uso di un dispositivo digitale in classe? In Teste e colli. Cronache dell’istruzione ai tempi della Buona Scuola (collana gli ebook de il lavoro culturale, 2015) autori che da diverse prospettive lavorano o fanno ricerca nel mondo dell’istruzione hanno cercato di rispondere a questi interrogativi. Formazione e assunzione degli insegnanti, precariato, uso delle tecnologie digitali per la didattica e rischi relativi al loro uso acritico, due interviste a Tullio De Mauro e a Luca Serianni sull’ethos della valutazione, “bisogni educativi speciali” e tagli alla spesa.

In una delle pagine più belle del suo diario, Jakob von Gunten ci presenta l’Istituto Benjamenta come un luogo di fuga dalla razionalità del suo tempo: «Noi allievi non speriamo nulla, anzi ci è severamente vietato nutrire nel nostro intimo alcuna speranza per l’avvenire; e nondimeno siamo perfettamente tranquilli e sereni. Com’è possibile questo? […]. Può darsi che solo a causa della nostra limitatezza ci sentiamo così gai e spensierati […]. Consciamente o inconsciamente prestiamo un po’ di attenzione a una quantità d’oggetti, siamo un po’ dappertutto con lo spirito e scagliamo le nostre sensazioni a tutti i venti, mietendo esperienze e osservazioni. Molte cose riescono a consolarci perché in generale siamo gente assai smaniosa di ricerca, e perché facciamo poco conto di noi stessi […]. E tuttavia non si può affatto dire di noi allievi che siamo privi di dignità, ma si tratta di una piccola dignità estremamente manovrabile, pieghevole, duttile; tanto è vero che l’indossiamo e la smettiamo a seconda dei casi […]. Una cosa sola so di preciso: noi aspettiamo! Questo è il nostro valore. Sì, aspettiamo e nello stesso tempo tendiamo l’orecchio verso la vita, verso quella pianura che si chiama mondo, verso il mare con le sue tempeste». Senza questa fuga, senza questo rispetto dell’attesa, c’è solo acquiescenza alla società e ai rapporti di forza squilibrati che essa esprime.

 

Marco Ambra (Caltanissetta, 1986), insegnante di Storia e Filosofia, specializzato nel sostegno, è redattore del blog lavoroculturale.org per il quale cura il focus su scuola e istruzione.  Ha pubblicato “Coscienza, autocoscienza e zombi” (Stamen, 2014) e ha curato l’ebook “Teste e colli. Cronache dell’istruzione ai tempi della Buona Scuola” (ebook de il lavoro culturale, 2015).

 

Il 29 marzo, in occasione del Book Pride di Milano, si terrà ai Frigoriferi Milanesi (via Piranesi, 10) dalle 16.30 alle 18.00 un incontro dal titolo “Oltre la Buona Scuola”, con i ragazzi e le ragazze del Liceo Manzoni, Roberto Ciccarelli (giornalista de il manifesto) e Marco Ambra (curatore per il blog lavoroculturale.org dell’ebook “Teste e colli. Cronache dell’istruzione ai tempi della Buona Scuola”, scaricabile gratuitamente qui).