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12.01.2016

Buoni propositi 2016: lettori si cresce


Buoni propositi 2016: lettori si cresce

di Giusi Marchetta – @AltaInfedelta (dal libro Lettori si cresce)

Hanno dodici, quindici, sedici anni. Sono insicuri, confusi, hanno dubbi su tutto. Meno che su una cosa: leggere è noioso, difficile e non rende felici. Leggere, insomma, non serve a niente. Oppure no? Giusi Marchetta mette a frutto la sua esperienza di insegnante e di lettrice appassionata per raccontare agli altri insegnanti, ai genitori e anche ai ragazzi – ai quali queste pagine spigliate danno del tu – che il desiderio di leggere si può trasmettere. Lo mostra l’episodio di Ricciardi e Polito, due degli studenti a cui Giusi chiede di impegnarsi, insieme ai compagni di classe, in un esercizio di lettura e invenzione… di sé.  

 

Adesso vi chiedo di scrivere una biografia breve e ben strutturata: la vostra. […]

Restano solo Ricciardi e Polito: il giorno e la notte. Pietro Ricciardi è studioso, attento, educatissimo. Polito è Polito. Spetta a me dare il via e permettergli di nascere come ho fatto con il resto della classe. E dunque:

– Polito, vuoi leggere tu?
Lui solleva un foglio da cui si evincono una decina di righe di strafalcioni e scarabocchi.
– Capisco. Sarai stremato, riposati. Ricciardi?

– Pietro Ricciardi nacque il 23 gennaio 1999 a Napoli dove visse per tutta la vita.

Comincia cosí e va avanti su una strada che mi sembra spaventosamente probabile: una laurea col massimo dei voti, un posto in banca come il nonno, i pomeriggi passati a caccia di un teorema di matematica di cui nessuno ancora ha trovato la soluzione. La noia aleggia nella stanza sotto forma di un brusio leggero, tanto che devo battere con la penna sulla cattedra per darci un taglio, perché non c’è niente di peggio che percepire che sei vivo e non interessa a nessuno.

– Questa scoperta fu molto importante per lui perché gli permise di diventare famoso in tutto il mondo e di essere eletto sindaco.

Qui ci sveglia tutti. Perfino Polito smette di cercarsi nel vetro della finestra e si gira a guardarlo.

– Il primo problema era sempre la camorra. Per questo Pietro pensò che doveva andare contro i peggiori camorristi e con gli anni ottenne pure l’appoggio della gente. Però dopo poco tempo, proprio quando la sua determinazione stava raggiungendo il suo scopo, nel 2065, una pallottola lo colpí dietro alla nuca e lui trovò la morte sull’ambulanza che lo portava all’ospedale. La sua morte fece scalpore perché era il sindaco ma, troppo impegnato nei suoi studi, non aveva mai sposato una donna e quindi era praticamente solo cosí dopo poco tutti si dimenticarono di lui.

Ricciardi posa il foglio sul banco, ha finito. Nel silenzio che segue toccherebbe a me dire qualcosa che lo consoli della sua morte. E invece ci pensa Polito dondolando in avanti la sedia, cercandogli gli occhi per chiedere sinceramente stupito: – E chi te l’ha fatto fare?

Nessuno glielo fa fare. In mezzo ai compagni disillusi, sarcastici, già grandi, semplicemente Ricciardi si immagina migliore. E la sua è forse solo un’infantile forma di ipocrisia, ma fa comunque effetto, dato che si proietta al di fuori di un confine egocentrico e si confronta con una realtà che non è esclusivamente quella che lo riguarda.

Come per il partigiano massacrato dai fascisti di cui abbiamo letto una testimonianza (– Non poteva fingere di essere anche lui fascista, prof? – ha osservato mezza classe. – È stato il diritto di non leggere stupido!), la sua idea di realizzazione consiste nell’immaginarsi capace di affrontare qualcosa di grande e diventare un eroe anche se nessuno lo sa o lo ricorda. È un’affermazione di se stessi intima e quindi non visibile: l’esatto contrario di quello che molti compagni considerano successo.

In altre parole, nei sogni di Pietro c’è del romanzesco mentre in quelli di molti suoi compagni la realtà (o l’immagine della realtà che assimilano dall’esterno) si è insinuata in modo radicale, rendendoli piú cinici e disincantati di quanto potrebbero essere.

Ricciardi sembra abituato a confrontarsi con un mondo meno ristretto di quello che vedono molti suoi compagni. Ora, sarà solo un caso, una coincidenza che incidentalmente incontrerò in ogni mia classe, ma Pietro è un lettore. Con la stessa passione divora classici e libri fantasy, li finisce nel giro di qualche giorno, me ne chiede ancora. Ogni volta che affrontiamo una nuova storia mi pare che si metta in ascolto dei fatti, che si prepari a mangiarli o qualcosa del genere.

Sarà solo un caso, una coincidenza che si ripete, però mi costringe a chiedermi se è vero che la lettura può plasmare la nostra visione delle cose e in che misura lo faccia per me, per tutti.

Prendete un bambino sui quattro, cinque anni. Immaginate che suo padre, seduto accanto a lui, gli legga la storia di Hänsel e Gretel.

È molto strano quello che accade a questo bambino: il suo papà è lí, accanto a lui, e gli racconta proprio di un padre che accompagna i figli in un bosco col proposito di sbarazzarsene. Non è che lo faccia volentieri, certo. È la matrigna ad aver insistito e la mamma, che avrebbe preferito soffrire la fame che separarsi da loro, è morta, segno che le madri ogni tanto muoiono.

È buio nel bosco, soprattutto quando si è piccoli, soli e si ha tanta fame. Per fortuna, o cosí pensa il bambino, a un certo punto i due fratelli si imbattono in una casupola. Vista da lontano spicca, colorata com’è: la scoperta che sia di marzapane e cioccolato li esalta al punto da non trovare la cosa strana o inquietante. (– Marzapane? – chiederà il bambino, – Come il biscotto – dirà il padre e improvvisamente la casa sembrerà piú vera).

L’incontro con la vecchietta gentile che ci abita dentro è un sollievo che dura poco: la donna accoglie i due ragazzini, li sfama, li coccola, e intanto si prepara a divorarli. Il bambino lo sapeva questo, lo sentiva e temeva che sarebbe successo già quando gli occhi della strega spiavano dalla finestra Hänsel e Gretel che mangiavano pezzi di davanzale.

Adesso è troppo tardi per rimediare. Comincia la detenzione, il lento ingrasso che deve portare i fratelli a finire in pentola. Alla fine però, proprio quando la voce scura del padre gli ingiunge di prepararsi al peggio, il bambino affronta l’ultima sorpresa: i due protagonisti, con cui si è identificato fin dal primo momento, gettano la strega nel pentolone bollente e si trattengono tra urla agghiaccianti e odore di carne bruciata per rubare tutti i beni della vecchia e ritornarsene alla casa paterna con un bel bottino. La classica storia dei Grimm: ce n’è abbastanza per decidere di bandire in eterno dalla propria vita il bosco, il buio e il marzapane (qualunque cosa sia).

O forse no. Forse, nonostante gli incubi che in genere costa, è un bene che la storia di Hänsel e Gretel esista e venga raccontata.

Per la prima volta il bambino che la ascolta si trova a disagio con la sua idea del mondo e si confronta con una realtà in cui esistono la paura, la morte e le persone che ti sorridono e tramano alle tue spalle. Lo fa da un posto sicuro: la strega non può averlo e mai si ritroverà abbandonato a girovagare per un bosco perché suo padre, lí accanto, suggerisce il contrario. Eppure, appena la luce sarà spenta, si scoprirà a pensare a vecchie mani rugose che lo cercano e qualche volta di notte si alzerà a controllare che mamma nel suo letto respiri ancora.

In qualche modo la fiaba lo ha portato ad emozionarsi e a riflettere; a chiedersi cosa sia possibile e cosa invece non potrebbe realizzarsi mai. Quando sentirà la stessa paura nella vita la riconoscerà. Saprà che può vincerla e andare avanti. Per questo, spaventato a morte, chiederà che gli si racconti di nuovo la storia dei fratellini omicidi. E Barbablú. E la Sirenetta, quella di Andersen, anche se è triste. Come per un istinto innato si cercherà nelle pieghe di queste storie per sentirsi raccontare, prima ancora di sapere che parlano di lui. Forse diventerà un lettore, forse no. Se lo diventerà cercherà altre storie e continuerà a confrontare la sua realtà con la loro. Macinerà conoscenze senza accorgersene ed empatizzerà con situazioni e stati d’animo che gli sembrano familiari. A qualunque età, grazie ai libri migliori scoprirà cose che non aveva immaginato esistessero e da quelli piú amati si sentirà capito e letto. Paradossalmente il mondo gli sembrerà piú complesso di quello che appare, ma anche piú affascinante.

Anche lui vivrà immerso nella stessa società dei compagni e sarà bersagliato dagli stessi messaggi. Ma forse (forse) l’armatura costruita dalle storie che ha letto renderanno quelle raccontate dalla cattiva televisione troppo esili, poco suggestive, meno divertenti, buone solo per qualche ora e basta. Come per qualunque lettore la realtà senza il filtro del racconto semplicemente non sarà abbastanza.

Lettori si cresce, Einaudi 2015, pp. 85-88.

 

Giusi Marchetta è nata per sbaglio a Milano nel 1982 ma quasi tutte le cose importanti le ha fatte tra Napoli e Caserta dove è cresciuta. Da qualche anno vive a Torino dove insegna con alterna fortuna. Collabora con “La ricerca”. Ha pubblicato per Terre di Mezzo due raccolte di racconti: Dai un bacio a chi vuoi tu (Premio Calvino 2007) e Napoli ore 11; colleziona racconti d’autore segnalati dai lettori sul tumblr unracconto. Costretta dagli alti e bassi della vita di insegnante ha scritto L’iguana non vuole (Rizzoli, 2011) e il saggio Lettori si cresce (Einaudi, 2015) con cui racconta la battaglia quotidiana per riportare la lettura tra i banchi di scuola.