Twitsofia
23.03.2015

Narrare la filosofia con l'anima


Narrare la filosofia con l'anima

di Vittoria Baruffaldi (@filobabyP)

Tra i diversi modi di “fare filosofia” esiste anche il narrare. È un “pensare affabulando”, secondo l’espressione di Bloch, che coniuga in maniera originale narrazione e riflessione filosofica.

Non si tratta di abbassare i toni, ma di portare chi ascolta o legge a ricercare il senso del quotidiano, dell’ordinario. Oltre ai generi letterari nei quali si è sviluppata una filosofia più “narrativa” (romanzi filosofici, epistole, confessioni) anche il racconto breve si concede volentieri alla filosofia: entrambi, infatti, lasciano aperti interrogativi, sollevano dubbi, stupiscono.

 

Bagaglio extra: il supplemento d’anima

 

Al check-in, insieme alle pelli di foca, al sassofono e a 2666 di Bolaño, ricordati di pagare anche per il supplemento d’anima.

L’hostess non saprà bene cosa fare, domandandosi se tu sia un guru o un mistico o un disadattato, ma poi ti farà pagare una franchigia a casaccio: l’anima non è quantificabile.

 

L’anima, in origine, non aveva alcun valore escatologico: era soffio, ciò che tiene in vita il corpo, come il vento quando fa danzare camicie, pantaloni e calzini stesi.

Fu Socrate a dichiarare la sua superiorità rispetto al corpo in quanto essenza intellettiva e morale: non del corpo dovete aver cura né di alcun altra cosa prima e più che dell’anima sì che ella divenga ottima e virtuosissima.

 

Si presta molta attenzione a non affidare il corpo a qualcosa d’ignoto (una medicina per il mal di testa, uno skipper con gli occhiali a specchio, un’impepata di cozze) perché c’è il rischio di renderlo più forte, o più debole. Mentre l’anima viene svenduta al primo che passa.

Nel caso del corpo c’è sempre la possibilità di ripensarci, e persino di dimenticare, invece quello che penetra nell’anima non se ne va più, e si va via danneggiati o avvantaggiati. Certe parole, sguardi e gesti si radicano là in maniera sottile e impercettibile, finché non iniziano a fare male.

 

Lei ha dato retta alla madre, alla suocera e alla zia acquisita: le hanno spiegato che una buona madre non ha grilli per la testa. Non ci si improvvisa né attrici né astronaute né allevatrici di pavoni: si sta a casa, a mettere ordine tra i calzini spaiati e le bollette da pagare; volendo proprio osare, ci si può dedicare a un hobby, innocuo e grazioso. Sarebbe poi ora di pensare a un altro figlio, che il tempo passa e poi non viene più.

E ora lei, mentre si gratta il pancione, mette su un dvd sui pavoni – ha trovato un hobby: i documentari –, e scopre che le femmine pavone sono prive della meravigliosa coda dai mille occhi.

 

Lui ha ascoltato il branco degli amici, quelli con i quali va a giocare a calcetto il mercoledì sera, e dopo ci si beve due, tre, quattro birre medie, che gli hanno detto che era invecchiato da quando aveva messo la testa a posto con Giovanna, sua moglie. Si capiva dalla mancanza di desiderio, per una quinta birra o per quella ragazza giovane che viene sempre al pub il mercoledì sera, arrampicata sui plateau e con la pelle soda e liscia. Il quinto mercoledì sera si è deciso – per una questione d’onore – ad avvicinarla, e si è sentito in alto, come sui plateau. Il sesto mercoledì i suoi amici gli tiravano pacche sulla schiena e sulle cosce, uno l’ha persino abbracciato: Sei ancora uno di noi. Il settimo mercoledì nessuno riusciva a guardarlo negli occhi, l’amico che lo aveva abbracciato l’ha fatto di nuovo sussurrandogli: Se vuoi puoi dormire da me per un po’ di tempo.

 

Tu ti sei innamorata – come fanno tutte in primavera, un’allergia di stagione – di un uomo che non ti amava. Parlava tanto di sé; non conosceva il tuo cognome, il tuo numero di scarpe, il tono della tua tinta. Tu conoscevi la storia del suo bisnonno, la lunghezza del suo alluce e i fili bianchi tra i suoi capelli (cinquantadue). Un giorno, ti ha chiesto cosa volevi dalla vita. Dal momento che lo sapevi che stava dicendo cosa vuoi da me, sei stata zitta, con la bocca piena di puntine da disegno.

Ora che stai per partire, portala in vacanza quest’anima: è solo un soffio, e ha bisogno di respirare.

 

Grazie a Vittoria Baruffaldi e a Giuditta Casale di Tempoxme Libri che ha ospitato una versione precedente di questo “esercizio” di meraviglia filosofica.

 

Vittoria Baruffaldi – Torinese, 37 anni, professoressa di filosofia e storia al liceo. Scrive su “La filosofia secondo babyP, esercizi di meraviglia per tutti e per nessuno”, il suo blog personale, nato come riflessione filosofica sulla maternità (per poi prendere mille strade diverse, alimentate dalla meraviglia dello sguardo sul mondo della piccola Baby P) e tiene una rubrica sul sito di Tempoxme Libri intitolata “La filosofia secondo me”. Ha pubblicato qualche racconto su riviste, tra cui “Inutile” e “Nazione Indiana”. Nel 2015 uscirà il suo primo libro.