Di che cosa parliamo quando parliamo di libri
di Tim Parks

Di che cosa parliamo quando parliamo di libri

Perché tante persone amano la carta e disprezzano gli e-book?

Come mai i cosiddetti “lettori forti” affollano i festival, dove in meno di un’ora gli scrittori sono costretti a riassumere il loro libro? E perché gli scrittori sembrano così entusiasti all’idea di prestarsi a questa banalizzazione pubblica?

Esiste la possibilità di dare un giudizio critico obiettivo, a prescindere da chi siamo e da dove veniamo? Il copyright è davvero un diritto intoccabile? E la traduzione è un processo neutro o una rielaborazione che stravolge sempre l’originale?

 

In fin dei conti, poi: qual è il vero motivo per cui scriviamo libri? Per quale motivo li leggiamo?

Porsi domande, sollevare obiezioni, è il modo in cui Tim Parks scardina le più quiete sicurezze del mondo letterario. Quelle sicurezze che condividiamo un po’ tutti, che ci fanno sentire parte di una comunità nobile e salda: la comunità di chi ama leggere, scrivere, parlare di letteratura.

Proprio a noi amanti dei libri si rivolge Parks: ironico, provocatorio e controcorrente, affronta i problemi ponendosi spesso in una posizione assolutamente inaspettata, ripartendo dalle basi, da quelle domande che paiono innocue, e che invece non lo sono affatto.

Così, seguendo i brevi e densi capitoli di questo saggio, inizieremo a chiederci perché continuiamo a dare tanta importanza alle scelte degli anziani giurati del Nobel, o per quale motivo dobbiamo tutti quanti parlare degli stessi libri, affannandoci a leggere Jonathan Franzen, Haruki Murakami o qualsiasi altro imprescindibile autore del momento.

In questo mondo sempre più interconnesso, anche la letteratura si ostina a pensarsi solo secondo una vocazione superficialmente internazionale: più che alla realtà locale o nazionale si mira all’esportabilità, alla traducibilità, in una rincorsa all’universale che rischia di produrre opere omogeneizzate, progressiste e rassicuranti, buone soltanto come argomento di conversazione.

Forse, allora, chiedersi Di che cosa parliamo quando parliamo di libri è il primo passo per uscire da questa palude.

Traduzione di Eleonora Gallitelli

scrittore e traduttore, ha studiato a Cambridge e Harvard e da anni risiede in Italia, dove insegna presso l’Università IULM di Milano. Collabora con diverse testate italiane, inglesi e americane, tra cui “Il Sole 24 Ore”, “The New Yorker”, “The Guardian” e “The New York Review of Books”. Ha tradotto in inglese, tra gli altri, Niccolò Machiavelli, Giacomo Leopardi, Alberto Moravia, Italo Calvino, Antonio Tabucchi e Roberto Calasso. Ha scritto numerosi romanzi e saggi; tra gli ultimi, ricordiamo La doppia vita del giudice Savage (Adelphi, 2005), Insegnaci la quiete (Mondadori, 2010), Il sesso è vietato (Bompiani, 2013), Romanzi pieni di vita (Laterza, 2014), Coincidenze (Bompiani, 2014), Di che cosa parliamo quando parliamo di libri (Utet, 2015) e In extremis (Bompiani, 2017).


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